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19 maggio 2018

Cronache dall’Ergife
Cominciamo dalla fine: con 294 voti favorevoli, 8 astenuti e nessun contrario l’Assemblea nazionale del PD ha approvato la relazione del segretario reggente Maurizio Martina. I punti salienti sono così riassumibili: mettersi al lavoro per correggere gli errori che ci hanno portato alla sconfitta, opposizione al governo Lega-M5S escludendo però aperture a Forza Italia, impegno a portare al congresso entro l’anno (e con forme diverse dal passato) per l’elezione del nuovo segretario, nel frattempo nuova gestione collegiale del partito. Conclusione tutto sommato positiva (anche se a platea ormai ridotta) di una giornata nata male e che faceva presagire esiti peggiori. Un discreto pareggio che muove la classifica, ma ora occorre migliorare la qualità del gioco.

L’Ordine del giorno
I mille delegati accorsi a Roma da tutt’Italia avrebbero dovuto discutere di un diverso odg: i provvedimenti conseguenti alle dimissioni del segretario (secondo Statuto, elezione di un nuovo segretario ovvero scioglimento e convocazione del congresso). Dopo oltre un’ora e mezzo di ritardo il Presidente dell’Assemblea Orfini ha messo ai voti il rinvio di queste decisioni ad una prossima seduta, per dedicare la giornata ad una discussione sulla fase politica. La proposta è passata a maggioranza. Ho votato contro sia per rispetto delle regole (neppure in un’assemblea di condominio si cambiano così all’ultimo momento gli argomenti) sia e soprattutto perchè i rinvii sono in genere manifestazione di debolezza ed incapacità di fare scelte. Cose entrambe dannose alla tenuta del PD.

Partito e governo
Non vale il ragionamento per cui sarebbe inopportuno discutere del partito nel momento in cui sta nascendo un governo dai lineamenti inquietanti. Le due questioni si intrecciano inevitabilmente. Perchè per fronteggiare la nuova maggioranza occorre un partito con una leadership vera e non condizionata, ma soprattutto occorre definire le caratteristiche politiche dell’opposizione. Che non sarà per nulla semplice, soprattutto sul terreno sociale. Semplificando, ci sono due strade possibili: quella di incalzare Lega e Cinquestelle ‘da sinistra’, sia sul fronte dei diritti che su quello della lotta alle disuguaglianze (la flat tax, ad esempio, è un clamoroso caso di redistribuzione a rovescio) ovvero pensare ad un fronte comune dei ‘responsabili’ contro l’avventurismo populista. Questa seconda porterebbe ad accentuare la frattura sociale e politica, con una sorta di partito unico degli inclusi, ed al potenziale abbraccio mortale col Cavaliere.

Chi ha sbagliato
Non ci può inoltre essere prospettiva sana di ricostruzione se non si riconoscono ed analizzano gli errori del passato. Anche nell’assemblea di oggi ho colto molta reticenza, se non una vera e propria insofferenza verso qualsiasi forma di autocritica. Nel migliore dei casi si sostiene che abbia nuociuto l’eccesso di discussione interna col corollario di divisioni, all’estremo si liquida la questione affermando che non noi avremmo sbagliato, ma gli elettori nel non seguirci. Questa idea, oltre che indimostrabile, conferma un vecchio e pericoloso vizio di supponenza di cui faremmo bene a liberarci pena una prossima lunga stagione di sconfitte. Pensare che noi siamo superiori agli elettori porta ad esempio ad irridere coloro i quali si sono rivolti agli sportelli comunali in queste settimane per riscuotere il reddito di cittadinanza promesso da Di Maio. Quando invece ciò dovrebbe ancor più interrogarci sulla povertà dilagante e sul come meglio riuscire a farvi fronte.

Il governo gialloverde
Ormai siamo prossimi alla chiusura di un accordo che tutti giudichiamo inquietante ma che pochi hanno tentato di impedire. Proprio non comprendo la soddisfazione di chi ha ritenuto di dover brindare a questo esito, sottovalutando le insidie di una maggioranza di furbi e spregiudicati. Avevo pochi dubbi che trovassero un’intesa: i cinque anni passati nel Consiglio regionale lombardo ne sono stati Il laboratorio. Dietro la facciata di alcune pagliacciate da finta opposizione i cinquestelle sono stati gli ispiratori ed i principali artefici della più importante operazione politica della scorsa legislatura: il Referendum per l’autonomia. I due gruppi, pur con le loro differenze, sono caratterizzati da identica insofferenza verso le tradizionali forme di democrazia rappresentativa, da spinte nazionalistiche, dalla contrapposizione di misure assistenzialistiche allo sviluppo di un welfare comunitario e mutualistico.
Il conto lo faranno pagare ai migranti ed alle prossime generazioni, ma nel frattempo non sarà facile eroderne il consenso.

Appuntamenti
Lunedì 28 alle 21 vorrei promuovere, con altri, a Monza un momento di discussione sulle prospettive del Pd dopo l’assemblea. Chi fosse interessato può darmene conferma via email. Comunicherò in seguito il luogo dell’incontro.